Piancavallo, Barcis, Vajont.

Un’altra splendida perla da aggiungere alla nostra collezione di spettacolari percorsi.

Le elevate temperature, ampiamente previste in questi giorni, sconsigliavano alle persone “di una certa età” di uscire nelle ore più calde. Per questo motivo, abbiamo deciso di uscire alle sei del mattino per il nostro “Giro del Zoba”.

Appuntamento per tutti a Vittorio Veneto dove abbiamo fissato il nostro campo base. Alle ore 08:00, dopo una breve sosta in un bar per un caffè, macchiatone, cappuccino e brioche, siamo pronti ad iniziare la nostra avventura.

Il percorso a cavallo tra Veneto e Friuli

Il percorso prevede di arrivare ad Aviano, salire a Piancavallo, scendere a Barcis, seguire il percorso del torrente Cellina fino a Cimolais per poi girare a sinistra in direzione di Erto-Casso nella valle del Vajont, scendere a Longarone, Ponte nelle Alpi, Lago di Santa Croce e ritornare a Vittorio Veneto, per un totale di 140 km e un dislivello di circa 2300m.

Da Vittorio Veneto ad Aviano, attraversiamo i bei paesini di Sarmede, Caneva e Fiaschetti. Sono circa trenta chilometri di piacevoli saliscendi poco trafficati, che percorriamo con tranquillità, risparmiando le energie per la lunga salita che ci attende.

Ad Aviano ricarichiamo le nostre borracce all’ultima fontana prima della salita intitolata al grande Marco Pantani dopo la sua vittoria al Giro d’Italia nel 1998. Si tratta di quindici chilometri per un’ascesa di 1150m con una pendenza media del 7,4%.

La salita si rivela immediatamente impegnativa e l’assenza di zone ombreggiate surriscalda i ciclisti, rischiando di compromettere le loro energie. È fondamentale idratarsi e rinfrescarsi per ridurre la temperatura corporea.

L’anderivieni del nostro fotografo accompagnatore in scooter ci fa compagnia per tutto il percorso. Viene addirittura fermato da una pattuglia di polizia per un controllo di routine e riconoscendo il nostro impareggiabile Stecca alla guida chiudono un occhio, o probabilmente entrambi, e lo lasciano proseguire.

Arrivati a Piancavallo, una nuvola oscura il sole e la temperatura cala drasticamente (22°-23° quasi freddo). Ne approfittiamo per gustare un panino o una barretta e riempire le borracce d’acqua, prima di lanciarci in discesa verso il Lago di Barcis.

La discesa, immersa nel bosco e quasi interamente all’ombra, è davvero mozzafiato. Rallentiamo la nostra corsa nel punto in cui è stato ritrovato il corpo di Giulia Cecchettin; sul ciglio della strada, fiori e candele ricordano ancora la sfortunata ragazza padovana.

Eccoci al lago di Barcis, una gemma turchese tra le montagne friulane. Qui ci fermiamo per scattare qualche foto suggestiva.

Proseguiamo verso Cimolais, seguendo il torrente Cellina che scorre rigoglioso con acque incredibilmente limpide lungo tutta la valle, fino a gettarsi nel lago che abbiamo appena lasciato.

Nonostante ci troviamo in montagna, il caldo in valle è palpabile. Il mio Garmin segna una temperatura di 38-39 gradi ed aver preventivamente individuato tutte le fontanelle lungo il tragitto si è rivelato essenziale. Rinfrescarci e bere acqua fresca ci da’ un po’ di sollievo.

Ancora una breve salita, si raggiunge il Passo S. Osvaldo, da cui si arriva ai paesini di Erto e Casso. Questi luoghi furono testimoni del disastro alla diga del Vajont nel 1963. I segni dell’immane frana che si riversò nell’allora lago artificiale sono ancora drammaticamente visibili, rendendo il ricordo delle 1910 vittime ancor più struggente.

Panoramica della Valle del Vajont poco dopo il disastro del 9 ottobre 1963. Si nota la frana di 260 milioni di metri cubi staccatasi dal Monte Toc e precipitata nel bacino artificiale.

Lasciamo la diga e scendiamo a Longarone, dove l’acqua del Vajont travolse tutto e tutti, per poi proseguire lungo la trafficata statale fino a Ponte nelle Alpi.

Qui si affronta l’ultima salita della giornata verso Piaia e Vich, per poi scendere verso il lago di Santa Croce.

Cervelli in fuga

Restano solo 30 km a Vittorio Veneto, ma il meglio deve ancora arrivare. Il caldo e la fatica hanno messo a dura prova il fisico e la concentrazione dei ciclisti.

Sapevamo che a causa di una frana, la statale Alemagna è chiusa al traffico, che viene deviato sull’autostrada. Per le biciclette, non ci sono alternative se non il sentiero che costeggia il Lago Morto (mai nome fu più appropriato). Dopo essere stati rassicurati il giorno prima dal bar sul lago che il sentiero era percorribile anche con biciclette da corsa, abbiamo fiduciosamente imboccato la stradina sterrata che si è presto trasformata in ghiaiosa e successivamente in una mulattiera, difficile da attraversare persino a piedi. Spingiamo a mano le nostre biciclette su per il sentiero incrociando qualcuno in passeggiata col cane che ci guarda incredulo. Le tante maledizioni al barista riecheggiavano nella valle, rimbalzando sulla superficie dell’acqua creando cerchi concentrici somiglianti a tanti piccoli tsunami.

Ritrovare l’asfalto sotto le ruote non ci sembra vero ed è stato incredibilmente bello, sembrava di pedalare sul velluto.

Ora non ci resta che percorrere, in leggera discesa, i 15km che ci dividono dalle nostre macchine.

Tutto è bene ciò che finisce bene

Al parcheggio ci ha accolto una piacevole sorpresa. Il nostro generoso Valter ha portato un fusto di birra fresca, con cui abbiamo brindato alla splendida giornata trascorsa insieme, impegnativa ma molto gratificante. La birra è finita rapidamente, così abbiamo deciso di concludere la giornata in un pub, gustando un enorme toast farcito e un’altra bella birra media.


Tutte le foto di questo fantastico giro puoi vederle e scaricarle quì


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